Gli effetti della normativa emergenziale sui contratti: la Relazione Tematica n. 56/2020 della Corte di Cassazione.

Nell’ambito della problematica inerente gli effetti della normativa emergenziale sui contratti, l’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione è intervenuta per orientare i Giudici in merito alle problematiche sorte in seguito all’introduzione della legislazione anti-Covid19 che, come già diffusamente trattato nell’articolo “Gli effetti della normativa emergenziale sulle locazioni commerciali e l’affitto d’azienda” attengono alla fase esecutiva di tutti i contratti sinallagmatici che, com’è noto, in quanto tali possiedono una funzione di scambio nella quale, appunto, una prestazione è in funzione dell’altra ed il vizio o difetto che colpisce la prima incide sulla seconda.

Osserva la Suprema Corte che “Il legame fra le due prestazioni – il c.d. sinallagma – è essenziale poiché qualora una delle prestazioni venga a mancare, l’altra diviene sproporzionata vanificando il senso dell’operazione programmata. Invero, se il contratto è commutativo, lo scambio è fra prestazioni economicamente equivalenti, di talché le vicende successive alla formazione del negozio che influiscono sul valore di una prestazione innescandone uno squilibrio economico rispetto all’altra, sono suscettibili di ripercuotersi sulla sorte del contratto.”.

In assenza di una normativa sostanziale ad hoc, si è dunque richiamata la disciplina generale dei contratti contenuta nel codice civile ed in particolare, il rimedio dell’impossibilità sopravvenuta (art. 1463 c.c.) che, tuttavia, sembra trovare spazio solo laddove l’emergenza epidemiologica abbia reso la prestazione completamente e definitivamente ineseguibile o inottenibile.

Sovente infatti la prestazione negoziale si mostra solo parzialmente o temporaneamente impossibile, senza che ciò determini l’estinzione dell’obbligazione sicché in tali casi è da ritenersi operativa la disposizione di cui all’art. 1464 c.c. in base alla quale il contratto non si risolve, ma la parte creditrice ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione oppure può recedere dal contratto allorché non abbia interesse all’adempimento parziale; in ogni caso, a fronte della prestazione temporaneamente impossibile può sospendere l’esecuzione di quella da lui dovuta.

In tema di contratti a esecuzione continuata o periodica (c.d. contratti “di durata”) nonché di contratti a esecuzione differita (i.e. contratti di locazione o di affitto di azienda) può in linea di principio richiamarsi il rimedio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all’art. 1467 c.c., ai sensi del quale il contratto può essere risolto quando a causa di “avvenimenti straordinari e imprevedibili”, la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per una delle parti, avuto riguardo al rapporto di scambio considerato nelle originarie pattuizioni intercorse. Tuttavia, tale rimedio è volto a rimuovere il vincolo, non a riequilibrare il sinallagma; infatti, in tale ipotesi, solo la parte favorita dallo sbilanciamento può evitare la risoluzione del negozio, offrendo di modificare equamente le condizioni di esso (art. 1467, comma 3, c.c.). Come osservato nella Relazione della Suprema Corte, la parte che patisce l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione può solo agire in giudizio per sciogliere il vincolo e solo purché non abbia già eseguito la propria prestazione sicché non ha diritto di ottenere l’equa rettifica delle condizioni contrattuali, né può pretendere che l’altro contraente accetti l’adempimento a condizioni diverse da quelle concordate.

Infine occorre far cenno all’art. 91 d.l. 17 marzo 2020, n. 18 che dispone dispone: “All’articolo 3 del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla l. 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: «6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti»

L’impegno materiale ed economico di adattamento alle disposizioni anti-contagio non è dunque concepito quale esimente automatica dell’inadempimento, ma deve essere apprezzato nel giudizio di valutazione sulla responsabilità: il debitore rimane onerato di dimostrare che le misure di contenimento hanno impedito di eseguire la prestazione, dunque il nesso causale fra rispetto delle misure e inadempimento deve essere provato e contestualizzato. Come si legge nella Relazione in commento, “Il principio rimane, dunque, quello per cui spetta al debitore dimostrare di aver fatto uso della ordinaria diligenza per rimuovere gli ostacoli creati all’esatta esecuzione degli impegni contrattualmente assunti”; dunque, l’obbligato non può limitarsi ad allegare che l’inadempimento è ascrivibile alle misure anti-contagio, dovendo invece dar prova del nesso eziologico fra inadempimento e causa impossibilitante rappresentata dal rispetto delle prescrizioni di contenimento dell’epidemia.

In chiusura si osserva, in controtendenza, l’orientamento del Tribunale di Roma sulla rinegoziazione delle locazioni a seguito della pandemia, in particolare, l’ordinanza 16 dicembre 2020 del Giudice capitolino, ha accolto la richiesta di rilascio in un procedimento di sfratto per morosità sostenendo pur a fronte delle ragioni addotte dal conduttore che aveva subìto un abbattimento del fatturato per oltre il 70%; il Tribunale ha infatti ritenuto sussistere l’onere di ricorrere al T.A.R. per far dichiarare l’illegittimità dei D.P.C.M., ritenuti palesemente illegittimi. Come già si è detto, è un provvedimento che si pone in contrasto rispetto al diverso orientamento che si sta consolidando nella giurisprudenza di merito in tema di necessaria rinegoziazione degli accordi locativi a seguito delle restrizioni imposte dalla pandemia da Covid-19.

Avv. Maddalena Lusardi

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