La doverosa premessa da considerare rispetto a quanto si dirà di seguito è che la normativa emergenziale legata al Covid-19 non ha introdotto alcuna disposizione che consenta all’affittuario di un’azienda o al conduttore di un immobile commerciale di sospendere o rifiutare il pagamento del canone contrattuale nell’ipotesi in cui l’attività esercitata risulti interdetta dai provvedimenti emergenziali.
Malgrado tale imprescindibile osservazione, sono numerose le pronunce giurisprudenziali di merito che hanno preso in considerazione gli effetti della pandemia sui contratti, in special modo in riferimento ai contratti di affitto d’azienda ed al contratto di locazione di locali commerciali. Così, già il 14 aprile 2020, all’esito di un procedimento cautelare attivato dal conduttore di un immobile ad uso commerciale, il Tribunale di Venezia ordinava all’istituto di credito coinvolto in virtù del rapporto fideiussorio, di non corrispondere quanto richiesto dal locatore a titolo di canoni di locazione non incassati. Quindi, con decreto del 12 maggio 2020, anche il Tribunale di Bologna il 12 maggio 2020, ordinava al locatore di un immobile ad uso commerciale di non mettere all’incasso gli assegni bancari ricevuti dal conduttore a garanzia dei canoni non versati per i mesi di aprile-luglio 2020.
La normativa emergenziale ha peraltro indotto l’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione a pronunciarsi sull’evidente problematica sorta in materia, suggerendo l’esigenza di una modifica del codice civile in punto alla disciplina generale dei contratti (si rinvia, sul punto, alla Relazione dell’Ufficio del Massimario dell’8 luglio 2020 n. 56).
L’appiglio normativo cui fare riferimento nella trattazione della tematica è rappresentato anzitutto dalla disposizione di cui all’art. 3, comma 6-bis del decreto legge n. 6 del 2020, convertito nella legge n. 13 del 2020 che si riferisce in generale ai rapporti obbligatori e prevede nello specifico che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”; le disposizioni del codice civile richiamate disciplinano la responsabilità del debitore ed il risarcimento del danno e, come può notarsi, la norma non esclude la responsabilità del debitore che non esegua la prestazione per attenersi alla normativa emergenziale introdotta successivamente alla stipula del contratto, sicchè – come si diceva pocanzi – l’obbligo del conduttore/affittuario non può di certo ritenersi inesigibile.
Peraltro, l’art. 216, 3° comma del decreto legge n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 costituisce senz’altro una conferma alla tesi appena esposta laddove stabilisce che la sospensione delle attività sportive “è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile, a decorrere dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell’assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati”; quindi in tal caso la normativa emergenziale invoca espressamente il concetto di impossibilità della prestazione, sia essa temporanea o definitiva, totale o parziale.
Ciò posto, è chiaro che i divieti stabiliti durante il periodo di lockdown hanno rilevanza generale, ossia estesa a tutti i rapporti obbligatori e valenza assoluta, imponendo al giudice di “tenere conto” di tali divieti nell’applicazione delle regola codicistiche in materia di contratti: in buona sostanza, mentre la normativa processuale richiede che la decisione sia fondata sui fatti dedotti e provati in giudizio, i divieti imposti dalla normativa anticovid rilevano senz’altro, essendo imposto al giudice uno specifico criterio di valutazione della condotta del debitore ai fini del giudizio di responsabilità. Quel che pare ovvio, in ogni caso, è che le disposizioni introdotte non estinguono alcun abbligo, tant’è che la prestazione già resa non potrebbe essere rivendicata.
Occorre precisare tuttavia che, per giustificare l’omissione o il ritardo del debitore, è necessario che i provvedimenti restrittivi precludano la condotta doverosa, non limitandosi a renderla più difficoltosa.
Sul solco di queste considerazioni, per ovviare alle vicende perequative di un contratto di “rent to buy”, il Tribunale di Venezia, con ordinanza datata 2 ottobre 2020, non ha convalidato lo sfratto intimato al conduttore ritenendo che, pur non trattandosi di impossibilità assoluta di godimento ma di impossibilità parziale, potesse ritenersi operativa la disposizione di cui all’art. 1464 del codice civile, che prevede in capo alla parte la cui prestazione di per sé non è divenuta impossibile (ossia al conduttore/affittuario) la scelta tra riduzione della prestazione ed esercizio del diritto di recesso.
Tanto premesso, si ritiene che – in attesa dell’introduzione di disposizioni codicistiche ad hoc, ormai percepite come imprescindibili – nell’ipotesi in cui il godimento dell’immobile o l’esercizio dell’azienda siano limitati a causa di fatti eccezionali, imprevedibili e non imputabili alle parti, il conduttore ha senz’altro diritto alla riduzione del canone, secondo quanto ritenuto dalle più recenti pronunce giurisprudenziali ed in virtù delle disposizioni vigenti in materia di impossibilità della prestazione.
Avv. Maddalena Lusardi
Un pensiero su “Gli effetti della normativa emergenziale sulle locazioni commerciali e l’affitto d’azienda.”